giovedì 22 settembre 2011
antichi sapori
Inizia oggi un viaggio nella cucina ebraica romana. Siamo certi che servirà a colmare (anche se solo in piccola parte) l'incomprensibile ignoranza verso vicini di casa che sono qui dai tempi di Cesare. Per molti sarà una scoperta vedere che molti piatti (e particolarmente ghiotti) della cucina romana è ebraica.
Ma prima di partire per questo viaggio "dall'altra parte di via Arenula", occorre una premessa generale.
Kasherut
Sia
che abbia il gusto croccante del carciofo alla giudia, o l’odore
speziato del medioriente, o il pizzichino agrodolce dell’Europa
dell’est, c’è un dato che accomuna la cucina ebraica. Tutto deve essere
rigorosamente kasher, cioè idoneo. Le lettere dell’alfabeto ebraico
corrispondono a numeri che danno ad ogni parola il valore numerico delle
lettere che la compongono. Kasher (questa è la trascrizione
dall’ebraico) è 7, e sette sono i giorni della creazione e 7 sono le
braccia della menorah, il candelabro che è il simbolo dell’ebraismo.
Le norme che regolano la kasherut distinguono fra animali vietati
(maiale, coniglio, crostacei, alcuni pesci) e permessi. Ma gli animali
consentiti devono essere macellati seguendo tecniche particolari (schechità,
cioè la recisione netta della giugulare che provoca una morte immediata,
ma che fa inorridire molti. In Olanda, Svezia e Austria la macellazione
rituale è interdetta). Inoltre è assolutamente proibito nutrirsi insieme
di carne e latte. Perfino gli utensili devono essere separati e lavati
con spugnette diverse. La separazione del latte dalla carne può essere
interpretata come una distinzione tra vita (latte) e morte (carne).
Perché tutte queste regole? Molti dicono motivi igienici che potrebbero
derivare dai cibi di cui si nutrono alcuni animali. E’ anche possibile
che tutte queste prescrizioni siano scaturite dal tipo di vita che il
popolo ebraico, nomade e dedito alla pastorizia, conduceva
nell’antichità. Oggi potremmo spiegare questi principi con la necessità
di porre attenzione a qualsiasi gesto si compie per vivere.
Talmente è importante il cibo nella vita dell’ebreo, che le festività,
determinate dalle fasi lunari, sono scandite dai cibi.
A Rosh ha shana (capodanno) si pianta il grano e il granturco e
si benedicono i frutti della terra (porro, zucca) e dell’aria
(melograno, dattero) mentre si mangiano frutti intinti nel miele di buon
augurio per un anno dolcissimo.
A Kippur (espiazione) si digiuna per venticinque ore.
A Succot (festa delle Capanne), si consuma almeno un pasto sotto una capanna, spesso una frasca, per ricordare il nomadismo del popolo ebraico.
A Channukka (festa delle luci), che cade nel periodo più buio dell’anno si gustano cibi fritti nell’olio, elemento indispensabile per accendere i lumi.
A Purim (le Sorti) si festeggia mangiando dolci e bevendo la regina Ester che intercesse per il suo popolo capovolgendone le sorti decise dal perfido Amman, e con allegria ci si traveste, E’ l’unico giorno dell’anno “in cui è concesso che la mano destra non sappia ciò che fa la sinistra” come scritto nell’Antico testamento .
A Pesach (pasqua) si ricorda il passaggio dalla schiavitù alla libertà del deserto, si mangiano cibi non lievitati per ricordare la fuga precipitosa dall’Egitto e si fa il seder (ordine) , una cena in cui i cibi vengono consumati seguendo uno schema preciso: mazzot (azzime), maror (erbe amare per ricordare l’amarezza della schiavitù), haroset (impasto di mandorle mele, noci a simulare la calce e i mattoni impastati per il faraone), zampetto d’agnello (il sacrificio), uovo sodo (che ricorda il lutto anche nella gioia), vino (che si berrà poggiando il gomito sul tavolo come fanno gli uomini liberi) .
A Shavuot (settimane, sette dopo Pesach) cibi dolcissimi per ricordare la terra del latte e del miele e la gioia per avere ricevuto le tavole della legge.
Lo
Shabbat (sabato) si consumano i cibi tradizionali e più gustosi. Già
preparati però, perché di sabato non si lavora né si accendono i
fornelli.
Tutte le prescrizioni alimentari si leggono nel Levitico (Antico
Testamento)
Tiziana Ficacci